Nel corso degli ultimi 20 anni, molti sedicenti esperti hanno manipolato il mercato dell’immagine digitale con informazioni fuorvianti e prive di alcun senso logico o fondamento scientifico che hanno portato la fotografia a un livello tecnico molto basso lasciando spazio alla nascita di miti e credenze popolari.
In realtà i falsi miti sono nati dalla visione amatoriale della fotografia, assimilabile all’idea che l’artista non abbia bisogno di tecnica ma solo di idee creative. Si è in pratica buttato nel cestino la storia dell’arte e l’evoluzione delle stessa negli ultimi 3000 anni a fronte di un mero ideale di popolarità e diffusione semplificata. Il populismo fotografico è divenuto una moda che ha eletto personaggi discutibili a guru e esperti e relegato la creatività e la ricerca a un semplice fastidio che nulla aggiunge al risultato finale.
Tutto è iniziato con un’idea molto semplice: per diffondere la fotografia digitale senza fare danni, facciamo un software di gestione dei dorsi digitali a prova di fotografo, perché tanto questi non capiscono e sono solo capaci di fare danni. Così, a partire dal 1998, si è iniziato a semplificare i software per consentire ai fotografi di “toccare” il meno possibile. Imacon, Sinar, Jenoptick e tutta la combriccola hanno deciso che non era necessario dare al fotografo altre incombenze altrimenti avrebbe incasinato il file e la vita di chi veramente gestiva le loro immagini. E per essere sicuri che il mercato diventasse popolare, e populista, diverse aziende hanno iniziato a colmare le lacune che vi erano in quel momento. Software, fotocamere, dorsi, luci, lenti, accessori, tutto destinato al nascente mercato della fotografia digitale dove una semplice D o un marchio “Digital” rendeva tutto appetibile. Una colossale operazione di marketing ben strutturata che ancora oggi continua.
Era troppo difficoltoso spiegare a un fotografo che un dorso o una fotocamera digitale non ha una sensibilità ISO. Esistono infatti 6 differenti modelli per convertire in sensibilità ISO l'indice di esposizione di un sistema digitale, ma il mercato ha da tempo adottato uno standard (SOS) basato sulla lettura del JPG sviluppato dalla fotocamera in sRGB o in alternativa un più personale standard (REI) basato sulle deduzioni del produttore. Vi semplifico il concetto, non esiste una sensibilità ISO del sensore digitale, è una convenzione che non viene ottemperata da tutti i produttori allo stesso modo e prima del 2006 era ancora peggio, un vero campo di battaglia, la discrezionalità era totale.
Nel 2003, la fotografia digitale si basava su grandi scompensi tra il risultato atteso e quello ottenuto, era in una fase nella quale la taratura empirica del proprio sistema aveva un valore superiore a quello di un dato tecnico e soprattutto non esistevano esposimetri o sistemi di profilatura avanzati dedicati alla fotografia digitale. Proprio in quella fase, mentre ancora si cercava di trovare una strada per la corretta gestione di un sistema complesso, qualcuno iniziò a teorizzare varie assurdità basate su semplificazioni empiriche di processi tecnici complessi.
Una di queste è ETTR Expose To The Right meglio conosciuta come Esponi Troppo - Tanto Risistemi.
L’idea che l’istogramma rappresenti una soluzione universale per la corretta esposizione è uno dei più grandi fraintendimenti della fotografia digitale moderna (Fantozzi avrebbe detto altro). Questo falso mito, spesso perpetuato da sedicenti esperti, ha indotto molti fotografi a credere che basti spostare quante più informazioni possibili verso le aree luminose dell’istogramma per ottenere immagini di qualità superiore, con meno disturbo e una miglior resa cromatica. Tuttavia, questo approccio ignora completamente il contesto reale della scena, le caratteristiche del sensore e il flusso di lavoro necessario per tradurre i dati grezzi in un’immagine sviluppata.
In ripresa, l’istogramma non è altro che una rappresentazione grafica del file JPEG generato dalla fotocamera. Questo file subisce compressioni, elaborazioni e adattamenti in uno spazio colore limitato, rendendo l’istogramma inaffidabile come unico riferimento per valutare la distribuzione dei dati grezzi. L’idea di utilizzarlo come guida assoluta per l’esposizione è un processo empirico che si scontra con la complessità tecnica del mezzo fotografico. Senza un’analisi dettagliata della scena e una comprensione approfondita dei limiti del sensore, l’istogramma diventa più un ostacolo che un aiuto.
Un ulteriore fraintendimento diffuso riguarda la sensibilità ISO. Molti fotografi credono che le fotocamere digitali abbiano una sensibilità intrinseca analoga a quella delle pellicole analogiche. In realtà, il parametro ISO nelle fotocamere digitali è una simulazione che traduce i segnali del sensore in termini comprensibili al fotografo. Modificare l’ISO non influisce sulla sensibilità del sensore alla luce, ma agisce sull’amplificazione elettronica dei segnali, il che può comportare perdita di gamma dinamica e aumento del rumore.
L’idea che spostare quante più informazioni possibili verso le aree luminose dell’istogramma garantisca una maggiore qualità è altrettanto fuorviante. I sensori digitali registrano i dati in modo lineare, e i toni chiari richiedono effettivamente più informazioni rispetto ai toni scuri per rappresentare le sfumature in modo coerente. Tuttavia, insistere nell’assegnare troppi dati alle aree luminose può compromettere la qualità generale dell’immagine, causando clipping irreversibile nelle alte luci e perdita di dettagli fondamentali nelle ombre.
Oltre a questo è da notare che l’istogramma non fornisce i dati reali e quindi non permette di verificare il corretto clipping in funzione del profilo colore che si userà in fase di sviluppo. Un altro grosso problema che non viene rilevato è che le tonalità tendono a torcersi nel momento in cui riportiamo la gamma dei colori compressa a una progressione più estesa, ciò comporta che i colori nelle zone scure verranno percepiti con minori variazioni dei colori nelle zone chiare che immancabilmente produrranno uno scarto cromatico e in alcuni casi posterizzazioni. Questa in sintesi è la ragione per cui ci sono meno informazioni nelle zone scure: ne servono meno!!!
Oltre a questi limiti vi sono altre variabili note che entrano in gioco: il file RAW ha un contrasto lineare che viene convertito in una curva logaritmica o gamma in fase di sviluppo, premesso di preservare la torsione del colore, questo non potrà garantire la massima saturazione in tutto il percorso di sviluppo.
Ok, questa è una spiegazione tecnica molto semplificata, ma credo che per la maggior parte delle persone sia già complessa, la sintetizzo con parametri semplici e comprensibili:
- Il sensore non ha una sensibilità ISO
- Il file RAW contiene solo dati grezzi e preferenze
- Le informazioni fornite dalla fotocamera (istogramma, clipping ecc…) non sono collegate in alcun modo al file RAW
- L’esposizione della fotocamera non ha alcuna correlazione con il file RAW
- Variare gli ISO sulla fotocamera non corrisponde a aumentare la sensibilità ma corrisponde all’amplificazione o contrazione del segnale
- Tradotto: la vostra fotocamera non vi fornisce informazioni utili per stabilire come posizionare i dati nell’istogramma dato che questo non corrisponde ai dati che state immagazzinando.
Ma se collego la fotocamera al computer e lavoro in tethering sfruttando l’istogramma del mio software di sviluppo?
In questo caso qualcosa risolvi, ma dato che sei già in fase di sviluppo devi lavorare sui dati corretti e non ipotetici, quindi applichi un profilo e le relative correzioni per ottenere un’immagine definitiva, possibilmente con la consapevolezza che l’istogramma sia solo un consiglio e non una funzionalità, nella maggior parte dei casi i software mancano di alcuni strumenti essenziali per limitare l’errore:
• Il Waveform analizza la distribuzione della luminosità su tutto lo spazio dell’immagine, mostrando in dettaglio eventuali aree di clipping e garantendo una corretta esposizione dei toni medi.
• Il Vectorscope si concentra sulla crominanza, evidenziando la posizione delle tonalità e la saturazione dei colori. È essenziale per bilanciare i colori, soprattutto in flussi di lavoro che richiedono precisione cromatica.
• L’RGB Parade separa i canali di colore (rosso, verde, blu) per valutare la loro distribuzione e bilanciamento, fondamentale per ottenere neutralità e coerenza tonale.
Nei flussi di lavoro avanzati, come nel video log, strumenti come il Waveform, il Vectorscope e l’RGB Parade sono infatti indispensabili per analizzare e gestire i dati dell’immagine. Questi strumenti forniscono una visione precisa della distribuzione luminosa e cromatica, andando ben oltre le capacità dell’istogramma. Grazie a questi strumenti si può effettuare una ripresa in log applicando una LUT di conversione adeguata e controllando tutto lo spettro del file risultate così da stabilire il gain effettivo di luminosità tale da permettere un recupero adeguato in fasi di post produzione. Cosa che effettivamente è essenziale quando si lavora in fotografia.
Ma vediamo ora perché non può funzionare l’ETTR nella fotografia moderna e sinceramente non funzionava neppure ai tempi:
A ogni profilo colore corrisponde una Tone Curve che permette di tramutare i dati lineari in dati con una specifica gamma. Questa curva incide anche sul punto di grigio medio e di conseguenza sul valor medio di esposizione. Oltre a questo agisce anche sui valori dei toni scuri e dei toni chiari e di conseguenza può produrre alterazioni in fase di sviluppo. La curva tonale del profilo è quindi direttamente responsabile non solo della corretta esposizione ma anche delle densità relative dei dati del sensore. Questo comporta che l'incidenza della curva del profilo sia superiore a qualsiasi intervento creativo di ripresa dato che interviene direttamente sulla distribuzione dei dati dell'immagine.
Pensare quindi che una regola empirica slegata da un'applicazione coscienziosa sia fondata, risulta già inverosimile. A questo aggiungiamo che, nella fotografia high-end, l'esposizione viene effettuata con esposimetri esterni in grado di effettuare letture medie e spot e, grazie ai più moderni prodotti, di sviluppare un'adeguata curva di risposta del sensore in grado di restituire l'intera dinamica di ogni singolo dispositivo. Questa curva dovrebbe essere sviluppata in funzione del profilo DCP di base che viene utilizzato in fase di sviluppo con la finalità di compensare l'esposizione e poter effettuare le corrette taratura N+X e N-X relative all'immagine.
Ogni singolo scostamento di esposizione comporta una variazione della resa cromatica dell'immagine e un'alterazione dei colori sia nelle alte che nelle basse luci. Di norma, in condizioni di ripresa standard, il sensore, indipendentemente dal profilo colore usato, non supporta variazioni rispetto all'esposizione corretta. Aumentando l'esposizione, durante il recupero in fase di sviluppo, aumenta la torsione dei colori nelle alte luci e successivamente il clipping. Quindi sovraesporre nella fotografia di beauty è fuori da un contesto logico, ma in molti altri casi può essere ancora più dannoso. Riducendo l'esposizione, invece, durante lo sviluppo aumenta il disturbo generato nelle basse luci. In questo caso, sottoesporre durante un evento potrebbe portare a ombre troppo chiuse che, aumentate di esposizione, generano un disturbo non funzionale alla destinazione d'uso dell'immagine. Qualsiasi alterazione dell'esposizione comporta un'alterazione dell'immagine e di conseguenza una minor fedeltà cromatica. L'esempio evidente è il recupero dei cieli o delle ombre piene, in questi casi, operando in aree largamente al di fuori del range corretto di esposizione, oltre i +2.00 EV abbiamo uno scarto cromatico che desatura i colori chiari e li muta di tonalità. In senso inverso invece, -2.00 EV, abbiamo un aumento del rumore nei toni scuri tale da rendere evidente il disturbo e la conseguenze generazione di texture e grana. Ciò che però non viene detto è che ovviare al disturbo nelle ombre è più semplice che risolvere il clipping delle alte luci. Utilizzando una luce cinematografica e quindi costruita per le ombre e mantenendo in esse un contrasto relativo molto accentuato, possiamo recuperare i dati senza disturbo poiché il contrasto relativo della fonte luminosa permette un recupero di più EV rispetto a una luce diffusa delle aree più luminose. In definitiva, usare un flash di bassa potenza per schiarire le ombre e sottoesporle in ripresa permette paradossalmente di diminuire il disturbo e aumentare l'estensione tonale del sensore piutttosto che sovraesporre e poi sottosviluppare. La fotografia si basa su elementi tecnici complessi e articolati che per anni hanno distinto le professionalità, semplificare le leggi che governano la fisica non risolve il problema ma lo acuisce.
Ah volete sapere l'altra storiella? Anzi le altre storielle?
Il tempo di scatto è 1/(lunghezza focale)... L'avete già sentita vero? Per fare foto nitide senza mosso meglio usare un tempo di scatto minimo pari al valore prodotto da questa formula. Quindi con un 600mm devo usare minimo 1/600. In fotografia digitale non è così, anzi. Con corpo e ottica stabilizzata potete usare tempi più lunghi per evitare il micromosso, ma dovete tenere presente che tutti i sensori full frame sopra i 40 megapixel richiedono un tempo di posa molto più breve, almeno uno se non due stop. Per evitare il micro mosso, poi, influiscono altri valori come la solidità della posizione di scatto, come si impugna l'ottica e altre situazioni ambientali. Pertanto, se avete modo di dare la massima stabilità all'obiettivo il tempo di scatto ideale per evitare il micro mosso è 1/(lunghezza focale x 3)
Bisogna sempre seguire la regola dei terzi. Altra banalità associata alla zona aurea e alla spirale aurea. La composizione non si basa su un solo dettame tecnico ma è il frutto di un'analisi degli elementi della scena e dei pieni e dei vuoti che si formano. Può essere un framing, una griglia Phi, una spirale aurea o può nascere da combinazioni di questi elementi o diagonali del frame. Tutti gli elementi si devono bilanciare per costruire un'immagine nella quale i pieni e i vuoti sono funzionali alla dinamica finale della scena.
Usare sempre ISO bassi! Falso, in fotografia digitale, come detto, non esistono ISO bassi o alti, sono tutte starature del sensore. Esiste un solo valore ISO corretto che è quello nativo del sensore, ovvero il valore per il quale il sensore restituisce la miglior resa e stabilità. Tutti gli altri valori impostati in camera sono delle starature dal valore nominale e pertanto introducono errori di base nella risposta del sensore.
La regola f:/8.0 per avere la massima qualità della lente. Sbagliato: ogni obiettivo ha un differente valore di resa ottimale e non è detto che possa essere più alto o più basso di f:/8.0, tra l'altro, ogni obiettivo è studiato per differenti tipologie di immagini quindi non è detto che sia ottimizzato a diaframmi più aperti o più chiusi.
Ce ne sono molti di miti e varrebbe la pena approfondirli tutti, per ora abbiamo approfondito solo il più dannoso ma senza andare troppo nel tecnico.
A volte un’immagine vale più di mille parole. A sinistra, una fotografia scattata in un ambiente con evidenti complessità di illuminazione, sviluppata con il profilo Adobe Color; a destra, la stessa immagine, ma con il profilo TheSpack. Per questo confronto sono stati utilizzati profili di seconda generazione, ottimizzati nel 2021, quindi ancora lontani dai progressi successivi. Questa immagine è particolarmente critica a causa di una sfumatura in saturazione, che, se non correttamente normalizzata, genera irregolarità. Spesso, il risultato ottenuto con il profilo Adobe porta a un giudizio negativo sulla qualità del file e della fotocamera stessa. Pur utilizzando una curva tonale simile per il contrasto, il profilo TheSpack ha prodotto un risultato nettamente superiore. Si nota una maggiore coerenza cromatica, estensione del dettaglio e leggibilità in tutte le aree dell’immagine. I disturbi e la granulosità, evidenti con Adobe, sono stati ridotti grazie alla struttura del profilo TheSpack, progettato per bilanciare correttamente i canali in uscita. Questo limite nei profili Adobe spesso causa un calo di qualità che viene erroneamente attribuito al mezzo tecnico. Il miglior dettaglio, la resa tonale superiore e l’assenza di irregolarità non sono il risultato di correzioni post-produzione, ma di un profilo colore studiato e sviluppato accuratamente.
Siamo spesso abituati a guardare l’insieme di un’immagine, perdendo di vista il dettaglio che la definisce. Questa riflessione, di per sé, potrebbe sembrare fuori luogo, considerando che la fotografia si basa sulla percezione visiva, sull’impatto che un soggetto, la luce, l’interpretazione e le dinamiche di una scena ci trasmettono. Sarebbe quindi naturale non concentrarsi sui dettagli. Eppure, qui nasce un grande paradosso: investiamo in lenti costose, glorificando la loro resa. Cerchiamo di correggere le aberrazioni, inseguire la risoluzione, applicare texture e maschere di contrasto per enfatizzare i dettagli, eppure ci dimentichiamo spesso di un elemento fondamentale: il profilo colore, che può distruggere tutto questo lavoro. Guardando ora il dettaglio ingrandito di una fotografia sviluppata con il profilo colore Adobe Color e la stessa immagine con TheSpack. La scelta di come intervenire su un profilo colore, quali parametri considerare e come ottimizzare la resa di un sensore porta inevitabilmente a conseguenze che impattano sulla qualità finale dell’immagine. Questo può addirittura vanificare il lavoro di ingegneri e progettisti che hanno creato ottiche di altissima qualità. Nell’immagine sviluppata con il profilo Adobe Color, la luce di un neon si disperde, lasciando un evidente alone attorno alla sorgente luminosa. Questo fenomeno riduce la consistenza nelle alte luci, compromettendo la texture e il dettaglio, e alterando la qualità complessiva della foto. Un piccolo difetto che, tuttavia, incide pesantemente sulla resa delle lenti e si manifesta su tutta l’immagine, indipendentemente dalle condizioni di illuminazione. Ovviamente, questa considerazione nasce dal fatto che un profilo colore può essere generato tenendo conto di differenti parametri, inclusi quelli che determinano lo scostamento di tonalità e saturazione al variare della luminosità. Per questo motivo, abbiamo scelto di suddividere il nostro sistema in modo da renderlo efficace in una vasta gamma di situazioni. Abbiamo implementato soluzioni specifiche per ogni singola fotocamera, così da ottenere risultati ineccepibili, indipendentemente dalle condizioni di ripresa. Questo approccio ci permette di garantire una resa cromatica coerente e precisa, riducendo al minimo le deviazioni che possono compromettere la qualità dell’immagine.