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La verità soggettiva di una fotografia

La fotografia non è mai completamente oggettiva, ma il risultato di scelte interpretative del fotografo. W. Eugene Smith evidenziava come ogni immagine rifletta una visione soggettiva, influenzata da prospettiva, composizione e contesto. Studiosi come Roland Barthes e John Berger hanno analizzato il ruolo della percezione nello sguardo dello spettatore, mentre casi storici dimostrano come la decontestualizzazione e la manipolazione possano alterare il significato di una foto. Nell’era digitale e dei social media, la consapevolezza critica è fondamentale per comprendere l’autenticità delle immagini e il loro impatto sulla nostra percezione della realtà.

La Verità Soggettiva di una Fotografia: Dall’Espressione Artistica all’Etica dell’Immagine

Il fotoreporter W. Eugene Smith è celebre non solo per i suoi reportage umanisti, ma anche per aver coniato (o comunque sostenuto) un principio-guida tutt’altro che scontato: “Let the truth be the prejudice”. È il titolo di un’importante monografia a lui dedicata, ma diventa anche una frase emblematica del suo approccio alla fotografia: invece di pretendere un’illusoria “oggettività” assoluta, Smith invita a riconoscere che ogni verità è inevitabilmente filtrata dalle scelte e dalle intenzioni del fotografo.
Questo ci apre alla riflessione sull’essenza stessa della fotografia. Ogni immagine—persino la più “documentaria”—è il risultato di passaggi interpretativi: prospettiva, composizione, attimo dello scatto, intensità della luce, messa a punto e post-produzione. Tutti questi elementi influenzano la narrazione visiva, rendendo la fotografia più vicina a una forma di racconto che non a un semplice specchio della realtà. L’invito di W. Eugene Smith a “lasciar parlare la verità, nonostante i pregiudizi” sottolinea come la “verità fotografica” non sia mai un fatto assoluto, ma una costruzione in cui la soggettività dell’autore (e, di rimando, quella dello spettatore) gioca un ruolo fondamentale.
È quindi fuorviante credere che la fotocamera, per il solo fatto di registrare istanti, produca immagini del tutto oggettive. In realtà, ogni ritratto, ogni reportage di guerra, ogni scatto di strada, riflette una visione. Quanto più si è consapevoli del potere interpretativo e, a volte, manipolativo della fotografia, tanto più si diventa lettori critici di questo linguaggio. Al contrario, ignorarlo significa correre il rischio di confondere una verità parziale con una rappresentazione assoluta degli eventi.
“Let the truth be the prejudice” non è dunque soltanto un titolo; è un’esortazione a confrontarsi con le nostre aspettative e a capire che la verità di una foto è inscindibile dalle scelte del fotografo e dal nostro sguardo. In altre parole, la fotografia funziona come un prisma che scompone la realtà e la rimonta secondo coordinate soggettive: un prisma che può ingannarci, se non ne comprendiamo la natura interpretativa, ma che allo stesso tempo ci offre infinite possibilità di narrazione.

Fotografia e Soggettività: Un Concetto in Evoluzione

Storicamente, la fotografia è stata vista come un mezzo oggettivo per catturare la realtà. Negli anni del fotogiornalismo classico, figure come Henri Cartier-Bresson e Dorothea Lange erano considerate testimoni imparziali della storia. Le loro immagini, spesso drammatiche e penetranti, raccontavano storie di guerra, povertà e resistenza, portando lo spettatore a credere che stessero vedendo la “verità”.
Ma, come spiega Roland Barthes nel suo saggio La camera chiara, la fotografia non è mai neutrale. Ogni immagine rappresenta una visione filtrata dalla scelta del fotografo, una “interpolazione tra il reale e la sua rappresentazione”. Barthes definisce questa tensione tra soggetto e visione con i concetti di “studium” e “punctum”: il primo rappresenta gli aspetti culturali che possiamo capire razionalmente, mentre il secondo è l’elemento che colpisce emotivamente, spesso in modo inconscio. Ogni spettatore ricostruisce la verità dell’immagine in base alla propria esperienza personale.
Secondo lo psicologo John Berger, la fotografia è un atto di interpretazione. Nel suo libro Ways of Seeing, Berger sottolinea come ogni immagine venga letta e interpretata attraverso la lente delle esperienze personali, delle emozioni e del contesto culturale. Ciò significa che la stessa fotografia può trasmettere significati diversi a seconda di chi la osserva. Questo introduce un elemento di soggettività non solo nell’atto di scattare una fotografia, ma anche nel suo essere osservata e interpretata.

Errori Involontari e Decontestualizzazione

Inoltre, la distrazione del fotografo, un errore di calcolo o un’errata impostazione tecnica — come una focale sbagliata — possono trasformare una fotografia in una rappresentazione distorta della realtà. L’immagine potrebbe escludere elementi cruciali del contesto, sia antecedenti che successivi all’evento immortalato, alterando così la narrazione. Questo porta a ciò che Barthes definisce “punctum”, un punto che cattura l’attenzione ma che non sempre rappresenta l’interezza della storia.
Secondo il sociologo Pierre Bourdieu, la fotografia è sempre il risultato di un atto sociale. Il fotografo, attraverso la selezione di una scena o di un soggetto, esercita un potere di definizione della realtà, sia per ciò che mostra che per ciò che esclude. In questo senso, l’atto fotografico può trasformarsi in una forma di controllo della narrazione, anche involontariamente.
Le fotografie, se decontestualizzate, possono narrare storie diverse rispetto a ciò che effettivamente accadde.

Il Soldato di Iwo Jima (1945)

Uno degli scatti più iconici della Seconda Guerra Mondiale è la fotografia di Joe Rosenthal che mostra i soldati statunitensi mentre alzano la bandiera americana sull’isola di Iwo Jima. L’immagine divenne simbolo della vittoria e del patriottismo americano. Tuttavia, è meno noto che quella particolare fotografia non fosse il primo alzabandiera, ma una seconda posa orchestrata per scopi fotografici. Il contesto originale — un atto simbolico ripetuto per ragioni mediatiche — fu spesso omesso, e l’immagine venne presentata come un evento autentico e spontaneo, contribuendo a creare una narrazione eroica che nascondeva la complessità della vera situazione.

Il Caso della Fotografia di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico (1968)

Un esempio storico di decontestualizzazione è la famosa fotografia dei velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos durante la cerimonia di premiazione delle Olimpiadi di Città del Messico del 1968. Nella foto, Smith e Carlos alzano il pugno guantato di nero mentre ascoltano l’inno nazionale, un gesto potente che divenne simbolo della lotta per i diritti civili e contro la discriminazione razziale negli Stati Uniti.
Sebbene l’immagine sia rimasta un simbolo iconico di resistenza, la sua decontestualizzazione ha spesso omesso un dettaglio chiave: la solidarietà mostrata dal terzo atleta sul podio, l’australiano Peter Norman, che indossava una spilla del Progetto Olimpico per i Diritti Umani a sostegno del gesto dei due americani. Spesso escluso dalla narrazione visiva, Norman subì gravi conseguenze per il suo gesto di solidarietà, ma il contesto della sua partecipazione è spesso dimenticato, riducendo l’immagine a un semplice atto di sfida di Smith e Carlos, piuttosto che una manifestazione di solidarietà globale.

La Fotografia del “Ragazzo Eroe” nelle Proteste di Hong Kong (2019)

Nel 2019, durante le proteste a Hong Kong contro la legge di estradizione, una fotografia di un giovane protestante che affrontava da solo una fila di agenti di polizia divenne virale sui social media. L’immagine, che mostrava il ragazzo con le mani in alto, divenne un simbolo della resistenza pacifica contro la repressione governativa. La fotografia venne rapidamente diffusa con il titolo “Ragazzo eroe”, rafforzando la narrazione di una lotta eroica dei manifestanti contro le forze dell’ordine.
Tuttavia, quando si scoprì il contesto originale, la storia cambiò drasticamente. Il giovane non era affatto coinvolto nelle proteste, ma si trovava casualmente in quella posizione mentre cercava di attraversare la strada durante uno scontro tra polizia e manifestanti. La fotografia, decontestualizzata, aveva creato una narrativa completamente diversa, che amplificava il messaggio della resistenza ma distorceva la verità dell’evento.

La Verità di un’Immagine e la Credibilità della Fonte

Un aspetto cruciale nella discussione sulla verità soggettiva della fotografia è il rapporto tra l’immagine e la credibilità della fonte. Spesso si tende a considerare veritiera un’immagine solo perché proviene da una fonte ritenuta affidabile, come un fotografo professionista, un’agenzia di stampa, o una testata giornalistica prestigiosa. Tuttavia, l’autenticità e l’affidabilità della fonte non sono garanzie assolute di verità.
L’ideologia politica o la propensione personale di un fotografo possono influenzare inconsciamente il modo in cui una scena viene immortalata, alterando la percezione di chi guarda. Lo psicologo sociale Leon Festinger, con la sua teoria della dissonanza cognitiva, ci ricorda che le persone tendono a interpretare le informazioni in modo da confermare le loro convinzioni preesistenti. Questo può accadere anche ai fotografi, che potrebbero inconsciamente inquadrare o comporre un’immagine in modo da enfatizzare un aspetto particolare della scena, riflettendo un punto di vista soggettivo, seppur involontario.
Un esempio emblematico di manipolazione ideologica è stato lo scatto simbolo della Rivoluzione Cubana di Che Guevara, che nel tempo è stato reinterpretato e riutilizzato in contesti e modi che ne hanno trasformato il significato originale. Susan Sontag, nel suo saggio On Photography, afferma che la fotografia è sempre il risultato di una scelta: l’angolazione, il momento e il soggetto selezionato rispondono a criteri che, anche se non deliberatamente, possono essere influenzati da valori personali, convinzioni politiche o ideologie.

Kevin Carter: Il Bambino e l’Avvoltoio (1993)

La celebre fotografia di Kevin Carter, che ritrae un bambino malnutrito in Sudan accovacciato vicino a un avvoltoio, è un altro caso di narrazione invertita.
Errore di interpretazione: Molte testate, inclusi il New York Times e altri quotidiani internazionali, utilizzarono l’immagine come denuncia della crisi umanitaria in Sudan, ma alcuni giornalisti criticarono apertamente Carter per non aver aiutato il bambino, insinuando che egli avesse preferito scattare la foto piuttosto che salvare una vita.
Contesto corretto: In realtà, Carter non era stato in grado di fare di più per il bambino, che si trovava nei pressi di un campo di soccorso. La narrativa della “non-azione” del fotografo distorse il significato della fotografia e la realtà delle sue limitazioni nel contesto in cui operava. Carter fu devastato dalle critiche che ricevette e, sebbene la fotografia gli valse il Premio Pulitzer, il peso della colpa lo accompagnò fino alla sua tragica morte.

Eddie Adams: L’Esecuzione del Vietcong (1968)

La fotografia scattata da Eddie Adams durante la Guerra del Vietnam, che mostra il generale sudvietnamita Nguyễn Ngọc Loan mentre spara alla testa di un prigioniero Vietcong, è uno degli esempi più eclatanti di inversione del contesto.
Life Magazine e The New York Times pubblicarono la fotografia con interpretazioni drammaticamente diverse:
Life Magazine usò la foto per simboleggiare la brutalità del conflitto in Vietnam, in particolare la crudeltà delle forze alleate agli Stati Uniti.
The New York Times inserì la foto in un contesto più ampio della guerra, spiegando come l’esecuzione fosse parte di un momento disperato nella lotta contro il Vietcong, e sottolineando le atrocità commesse da entrambe le parti.
Errore di interpretazione: Alcune testate presentarono l’immagine come simbolo della brutalità ingiustificata del conflitto e della deumanizzazione provocata dalla guerra, dipingendo Loan come un mostro spietato.
Contesto corretto: Adams stesso dichiarò in seguito che l’immagine, fuori contesto, aveva distorto la realtà. Loan stava eseguendo un guerrigliero Vietcong che aveva appena compiuto azioni violente (tra cui l’uccisione di amici e familiari dello stesso Loan). Adams si pentì della narrazione che seguì la diffusione della fotografia, affermando che la foto aveva ingiustamente condannato Loan agli occhi del mondo.

Manipolazione Volontaria e Propaganda

Oltre agli errori involontari, esistono casi in cui la manipolazione è intenzionale e finalizzata a sostenere una narrazione specifica. In ambito giornalistico e politico, l’uso della fotografia come strumento di propaganda è ben documentato. Joseph Stalin, ad esempio, era noto per far modificare fotografie ufficiali, eliminando personaggi caduti in disgrazia dal suo regime.
Anche nelle situazioni in cui non c’è manipolazione esplicita, la fotografia può presentare una versione della realtà che risponde a una narrativa precisa. La fotografia di guerra, ad esempio, spesso esclude immagini di devastazione e sofferenza per mostrare invece momenti di eroismo o patriottismo. Susan Sontag sottolinea come la fotografia possa essere utilizzata per anestetizzare o spettacolarizzare il dolore umano, servendo obiettivi politici e ideologici.

Il Caso di Paul Hansen: “World Press Photo 2013”

Nel 2013, il fotografo svedese Paul Hansen vinse il World Press Photo of the Year con una drammatica immagine che mostrava un corteo funebre a Gaza. Tuttavia, poco dopo la vittoria, alcuni esperti sollevarono dubbi sulla veridicità dell’immagine, accusando Hansen di aver manipolato digitalmente l’illuminazione della fotografia per aumentare l’effetto emotivo. Un’indagine rivelò che Hansen aveva usato software di post-produzione come Photoshop per combinare diversi scatti, bilanciare l’esposizione e migliorare l’illuminazione della scena. Sebbene Hansen abbia dichiarato di non aver alterato il contenuto della scena, la polemica scatenata evidenziò la delicatezza dell’etica nella manipolazione fotografica.
Nonostante la foto non fosse stata squalificata, il dibattito spinse molti a riflettere su quanto sia accettabile manipolare un’immagine senza tradire la verità del momento. L’uso eccessivo di post-produzione può rischiare di portare l’osservatore a interpretare la fotografia in maniera più emotiva di quanto la realtà rappresentata giustificherebbe.

Narciso Contreras: Un Premio Revocato per Manipolazione

Il caso di Narciso Contreras è un altro esempio di manipolazione che ha avuto gravi conseguenze. Fotoreporter vincitore del Pulitzer, Contreras fu smascherato nel 2014 per aver manipolato un’immagine scattata durante la guerra civile siriana. Nello specifico, Contreras aveva rimosso digitalmente una videocamera da una delle sue fotografie, giustificando il ritocco come un tentativo di migliorare la composizione dell’immagine. Tuttavia, questa manipolazione violava i rigorosi standard di etica del fotogiornalismo.
Associated Press (AP), per la quale Contreras lavorava, decise di revocare la sua collaborazione, una decisione drastica che riflette l’importanza di mantenere l’integrità delle immagini nel fotogiornalismo. L’atto di rimuovere un elemento della scena non solo distorce la realtà rappresentata, ma compromette la credibilità del fotografo e dell’organizzazione per cui lavora.

Souvid Datta e l’Immagine di Mary Ellen Mark

Il fotografo Souvid Datta è stato protagonista di uno dei più controversi casi di manipolazione fotografica recente. Nel 2017, Datta fu accusato di aver sovrapposto digitalmente parti di un’immagine di Mary Ellen Mark, una leggendaria fotografa documentarista, all’interno di una sua fotografia. L’immagine manipolata era parte di un progetto documentaristico sulle lavoratrici del sesso in India.
Questo gesto, oltre a rappresentare una chiara violazione dell’etica professionale, ha gettato discredito su tutto il lavoro di Datta. L’accusa di aver rubato il lavoro di un altro fotografo non solo ha compromesso la sua credibilità, ma ha anche danneggiato il significato delle sue immagini. Datta stesso ha ammesso l’errore, descrivendo il suo atto come una “decisione sbagliata” presa durante un momento di fragilità mentale e professionale.

L’Impatto della Manipolazione sulla Verità Fotografica

Questi casi sollevano una domanda importante: quanto si può manipolare un’immagine senza tradire la verità? Come osservato da studiosi della comunicazione visiva, come John Berger, la fotografia è già di per sé un’interpretazione soggettiva del reale. Ogni scelta, dall’inquadratura alla luce, contribuisce a creare una narrazione specifica. Tuttavia, quando la manipolazione diventa intenzionale e sistematica, si entra in un campo eticamente ambiguo.
In un contesto globale in cui le immagini vengono consumate rapidamente sui social media e nei media tradizionali, la credibilità della fonte è spesso data per scontata. Tuttavia, come dimostrano i casi di Hansen, Contreras e Datta, anche le fonti più rispettabili possono commettere errori. L’ideologia personale, l’errore tecnico o la semplice distrazione possono portare a una rappresentazione distorta della realtà, che può avere conseguenze significative sull’interpretazione di eventi storici o sociali.

Etica e Responsabilità

L’uso responsabile della fotografia è un tema di grande attualità. Fotografi come James Nachtwey, Don McCullin e Lynsey Addario si sono confrontati con dilemmi etici legati alla rappresentazione della sofferenza e della guerra. L’etica del fotogiornalismo richiede una riflessione continua su come bilanciare l’obbligo di documentare con il rispetto per i soggetti e il contesto.
Nel panorama mediatico moderno, dominato dai social media, la verità soggettiva delle immagini diventa ancora più fluida. Le immagini possono essere ritoccate, estrapolate dal contesto o utilizzate in modi che ne alterano il significato originale, come dimostrato dai numerosi casi di “fake news” visive. La verità di un’immagine, quindi, non dipende solo dalla sua qualità tecnica o dalla credibilità della fonte, ma anche dalla responsabilità di chi la diffonde e di chi la interpreta.

Il Caso di Fabienne Cherisma e la Critica Etica

Un altro esempio significativo è la storia di Fabienne Cherisma, una ragazza di 15 anni uccisa da un colpo di pistola durante i saccheggi seguiti al terremoto di Haiti nel 2010. La fotografia del suo corpo senza vita, circondato da detriti, divenne una delle immagini simbolo della tragedia haitiana. Tuttavia, l’etica della fotografia è stata messa in discussione quando si scoprì che molti fotoreporter erano presenti al momento dello scatto, ognuno ritraendo la scena da diverse angolazioni. Alcuni fotografi sono stati accusati di insensibilità, poiché si erano concentrati più sull’estetica dell’immagine che sul dramma umano in corso. Questo caso evidenzia l’ambiguità tra documentazione e spettacolarizzazione della sofferenza, e il ruolo del fotografo come narratore della realtà.

O.J. Simpson – La Copertina di Time e Newsweek (1994)

Uno degli errori più noti riguardo la manipolazione delle immagini si verificò durante il processo di O.J. Simpson nel 1994. Time Magazine pubblicò una versione alterata della sua foto segnaletica, scurendo la sua pelle e accentuando le ombre per farlo apparire più minaccioso. Al contrario, Newsweek pubblicò la stessa foto, ma senza modifiche. Questo portò a una forte critica nei confronti di Time, accusata di razzismo e di voler condizionare l’opinione pubblica contro Simpson, presentandolo in una luce negativa rispetto alla rappresentazione più neutrale di Newsweek. Questo caso è spesso citato come un esempio di come le modifiche editoriali possano alterare il significato percepito di una fotografia.

La Verità Soggettiva e la Fotografia Sociale

La fotografia non solo documenta eventi, ma interpreta anche emozioni e storie personali. Il lavoro di Sebastião Salgado, ad esempio, esplora le vite degli individui nelle regioni più povere del mondo. Sebbene le sue immagini siano visivamente potenti e toccanti, Salgado è stato criticato per l’estetizzazione del dolore. Le sue fotografie, così come quelle di altri grandi autori, mostrano una verità, ma non sono mai prive di soggettività. Il fotografo decide cosa mostrare, cosa oscurare e come rappresentare il soggetto.
In questo contesto, la psicologia della percezione gioca un ruolo importante. Gli studi condotti dal filosofo Vilém Flusser esplorano come la macchina fotografica stessa influenzi la creazione di significato, concludendo che le scelte tecniche del fotografo (come la lunghezza focale o l’esposizione) influenzano il modo in cui la realtà viene interpretata dallo spettatore.

Filosofia e Fotografia: L’Essenza della Verità

La riflessione filosofica sulla verità della fotografia ci porta a considerare il pensiero di Susan Sontag, che nel suo libro On Photography afferma che le immagini, pur rappresentando frammenti della realtà, possono anche anestetizzare il pubblico. Secondo Sontag, la continua esposizione a immagini di violenza o tragedia porta alla desensibilizzazione, creando una distanza emotiva tra l’osservatore e la sofferenza rappresentata. Ciò solleva ulteriori questioni etiche sul potere delle immagini nel modellare la nostra percezione della realtà.
In modo simile, Jean Baudrillard, uno dei più influenti filosofi del postmoderno, afferma che la fotografia può creare una “simulazione” della realtà. Nel suo concetto di simulacro, Baudrillard esplora come, in un’epoca dominata dai media e dalla tecnologia, le immagini non riflettano più la realtà, ma creino nuove realtà che esistono solo in quanto immagini.

La Verità Fotografica nell’Era dei Social Media

Oggi, con l’esplosione dei social media, la verità soggettiva delle immagini è più rilevante che mai. Le piattaforme come Instagram e TikTok ci mostrano una versione curata della vita quotidiana, dove ogni immagine è studiata, filtrata e manipolata per presentare una realtà idealizzata. Questo fenomeno solleva nuove domande sull’autenticità e sull’influenza che le immagini hanno sulla nostra percezione di noi stessi e degli altri.
Sherry Turkle, psicologa e sociologa, nel suo libro Alone Together, esplora come la nostra costante interazione con le immagini digitali stia alterando le nostre relazioni sociali e la nostra identità. La verità, in questo contesto, diventa ancora più soggettiva e frammentata, mentre costruiamo la nostra immagine attraverso fotografie che presentano una realtà selettiva.

La Fotografia Come Specchio della Soggettività

La fotografia, sin dalle sue origini, ha sempre rappresentato più di un semplice riflesso della realtà. Attraverso l’obiettivo, il fotografo non solo cattura un momento, ma lo interpreta e lo reinterpreta. La “verità” che vediamo in una fotografia è sempre una verità soggettiva, filtrata attraverso le scelte stilistiche, etiche ed emotive del fotografo. Come diceva  W. Eugene Smith, la fotografia non è mai un fatto assoluto, ma una finestra sul mondo così come viene percepito dall’artista dietro la macchina fotografica.
In un’epoca di crescente manipolazione delle immagini, è fondamentale interrogarsi su cosa significhi rappresentare la verità e su quali responsabilità abbiano i fotografi nell’era digitale. La fotografia continuerà a essere un potente strumento di comunicazione, ma richiederà sempre uno sguardo critico da parte di chi la crea e di chi la osserva. Perché se è vero che la fotografia può “mentire”, è altrettanto vero che la consapevolezza della sua intrinseca soggettività ci rende partecipi, e non più vittime, di ciò che vediamo.


Bibliografia:


Baudelaire, C. (2006). Salon de 1859. Paris: Éditions Honoré Champion. - ISBN-13: 9782745313355

Barthes, R. (1981). La camera chiara: Nota sulla fotografia. Einaudi. - ISBN-13: 9788806168422

Berger, J. (1972). Ways of Seeing. British Broadcasting Corporation and Penguin Books. - ISBN-13: 9780140135152

Bourdieu, P. (1996). Photography: A Middle-brow Art. Stanford University Press. - ISBN-13: 9780804726894

Festinger, L. (1957). A Theory of Cognitive Dissonance. Stanford University Press. - ISBN-13: 9780804709118

Flusser, V. (2000). Towards a Philosophy of Photography. Reaktion Books. - ISBN-13: 9780948462553

Sontag, S. (1977). On Photography. Farrar, Straus and Giroux. - ISBN-13: 9780312420093

Turkle, S. (2011). Alone Together: Why We Expect More from Technology and Less from Each Other. Basic Books. - ISBN-13: 9780465031467

W. Eugene Smith (1985). Let Truth Be The Prejudice: W. Eugene Smith, His Life and Photographs. Aperture - ISBN-13: 978-0893812072

Leica Q (Typ 116) - Comparazione profilo
Before
After

A volte un’immagine vale più di mille parole. A sinistra, una fotografia scattata in un ambiente con evidenti complessità di illuminazione, sviluppata con il profilo Adobe Color; a destra, la stessa immagine, ma con il profilo TheSpack. Per questo confronto sono stati utilizzati profili di seconda generazione, ottimizzati nel 2021, quindi ancora lontani dai progressi successivi. Questa immagine è particolarmente critica a causa di una sfumatura in saturazione, che, se non correttamente normalizzata, genera irregolarità. Spesso, il risultato ottenuto con il profilo Adobe porta a un giudizio negativo sulla qualità del file e della fotocamera stessa. Pur utilizzando una curva tonale simile per il contrasto, il profilo TheSpack ha prodotto un risultato nettamente superiore. Si nota una maggiore coerenza cromatica, estensione del dettaglio e leggibilità in tutte le aree dell’immagine. I disturbi e la granulosità, evidenti con Adobe, sono stati ridotti grazie alla struttura del profilo TheSpack, progettato per bilanciare correttamente i canali in uscita. Questo limite nei profili Adobe spesso causa un calo di qualità che viene erroneamente attribuito al mezzo tecnico. Il miglior dettaglio, la resa tonale superiore e l’assenza di irregolarità non sono il risultato di correzioni post-produzione, ma di un profilo colore studiato e sviluppato accuratamente.

Panasonic S1R - Impercettibili difetti
Before
After

Siamo spesso abituati a guardare l’insieme di un’immagine, perdendo di vista il dettaglio che la definisce. Questa riflessione, di per sé, potrebbe sembrare fuori luogo, considerando che la fotografia si basa sulla percezione visiva, sull’impatto che un soggetto, la luce, l’interpretazione e le dinamiche di una scena ci trasmettono. Sarebbe quindi naturale non concentrarsi sui dettagli. Eppure, qui nasce un grande paradosso: investiamo in lenti costose, glorificando la loro resa. Cerchiamo di correggere le aberrazioni, inseguire la risoluzione, applicare texture e maschere di contrasto per enfatizzare i dettagli, eppure ci dimentichiamo spesso di un elemento fondamentale: il profilo colore, che può distruggere tutto questo lavoro. Guardando ora il dettaglio ingrandito di una fotografia sviluppata con il profilo colore Adobe Color e la stessa immagine con TheSpack. La scelta di come intervenire su un profilo colore, quali parametri considerare e come ottimizzare la resa di un sensore porta inevitabilmente a conseguenze che impattano sulla qualità finale dell’immagine. Questo può addirittura vanificare il lavoro di ingegneri e progettisti che hanno creato ottiche di altissima qualità. Nell’immagine sviluppata con il profilo Adobe Color, la luce di un neon si disperde, lasciando un evidente alone attorno alla sorgente luminosa. Questo fenomeno riduce la consistenza nelle alte luci, compromettendo la texture e il dettaglio, e alterando la qualità complessiva della foto. Un piccolo difetto che, tuttavia, incide pesantemente sulla resa delle lenti e si manifesta su tutta l’immagine, indipendentemente dalle condizioni di illuminazione. Ovviamente, questa considerazione nasce dal fatto che un profilo colore può essere generato tenendo conto di differenti parametri, inclusi quelli che determinano lo scostamento di tonalità e saturazione al variare della luminosità. Per questo motivo, abbiamo scelto di suddividere il nostro sistema in modo da renderlo efficace in una vasta gamma di situazioni. Abbiamo implementato soluzioni specifiche per ogni singola fotocamera, così da ottenere risultati ineccepibili, indipendentemente dalle condizioni di ripresa. Questo approccio ci permette di garantire una resa cromatica coerente e precisa, riducendo al minimo le deviazioni che possono compromettere la qualità dell’immagine.

Simone Bassani in collaboration with

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