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Intervista a Rudy Carezzevoli

Dietro ogni immagine che racconta la velocità, c’è una storia fatta di passione, preparazione e sacrificio. In questa intervista, Rudy ci porta nel cuore della sua esperienza come fotografo motorsport, dagli inizi al circuito del Mugello fino alla collaborazione con Getty Images per la Formula 1. Un percorso costruito passo dopo passo, tra briefing editoriali, shooting in pista, loghi da evitare e condizioni ambientali complesse da gestire. Ma anche un equilibrio cercato e mantenuto con la vita familiare, i ritmi serrati delle trasferte e la continua ricerca della qualità.

Rudy, iniziamo subito con una domanda diretta: qual è stato il tuo percorso da fotografo?

Mi sono appassionato alla fotografia nel 2008, quindi sono un fotografo dell’era digitale. Sono sempre stato attratto dallo sport, in particolare dalla velocità, e nel 2011, quando la passione per la fotografia è diventata una scelta di vita, ho iniziato a lavorare in uno studio fotografico collegato al circuito del Mugello. È stato un ottimo viatico e, passo dopo passo, ho iniziato a seguire non solo la pista ma anche gli eventi e tutte le attività collaterali.

Nel 2014 ho conosciuto Callo Albanese, che mi ha guidato in un percorso di crescita professionale portandomi a realizzare immagini sempre più significative. Dopo aver seguito gli eventi PMI per le stagioni 2015 e 2016, ho avuto modo di partecipare per diversi anni alle presentazioni delle monoposto Ferrari e seguire la Scuderia nelle stagioni 2018 e 2019 del mondiale F1.

Tutto questo, in parallelo alle altre attività che svolgevo, tra cui la documentazione di numerose tappe della MotoGP. Con l’arrivo del 2020 è iniziata la mia collaborazione con Getty Images, agenzia per la quale lavoro tuttora seguendo numerosi eventi, oltre al mondiale di F1.

Seguire una stagione di F1 non è semplice. Oltre alla mole di lavoro e al margine d’errore ridotto, c’è anche il distacco dalla famiglia. Come gestisci tutto questo?

Ho imparato a prendermi cura del mio tempo libero. Quando sono a casa, se non ci sono eventi pianificati, sono al 100% un padre e un marito molto presente. Questo mi aiuta a ridurre lo stress e a dedicarmi a ciò che mi fa stare bene. Seguo i miei figli, aiuto mia moglie, vado in palestra, esco in bici… stacco completamente dal lavoro per ricaricarmi e recuperare il tempo che inevitabilmente passo lontano da casa. Anche quando sono in viaggio, cerco sempre di ritagliarmi momenti da dedicare a me e alla mia famiglia.

Certamente non è semplice. In effetti, chi guarda un’immagine pubblicata su un giornale o sui social non immagina la vita dietro lo scatto. È la vita di un fotografo, fatta non solo di problemi tecnici ma anche ambientali.

È proprio così. Le monoposto girano con il sole e con la pioggia, e i fotografi si muovono a piedi lungo il circuito. Detta così sembra semplice, ma non lo è affatto. Ogni giorno riceviamo un Photo Brief con tutte le esigenze editoriali e del cliente.

Io seguo il team VCARB (Visa Cash App Racing Bulls) e ho diverse situazioni da coprire: clienti VIP, garage, pista, qualifiche, shooting per gli sponsor, e molto altro. Porto sempre con me una cintura News Wear a cartucciera dove tengo il trasmettitore, un filtro ND, ottiche non montate, la pettorina e un giacchino antipioggia. Se sono ai box, la lascio nel retro con il 400mm, che poi prendo per andare in pista.

È fondamentale pianificare le attività e studiare bene il tracciato, perché ciò che viene richiesto non è sempre facilmente realizzabile. A volte strutture e condizioni meteo obbligano a trovare soluzioni alternative.

Immagino che non tutti i circuiti siano uguali e che si debbano affrontare limiti fisici non sempre aggirabili.

Esatto. Oltre alla configurazione del circuito, anche le barriere di sicurezza possono cambiare l’approccio fotografico. In molte situazioni ci troviamo davanti a nuove reti dove prima non c’erano. Questo cambia tutto: dietro una rete puoi scattare solo con un teleobiettivo. Ma se quel punto era ideale per fare dei panning, per via della luce e del contesto, ti ritrovi a dover cambiare posizione.

Poi ci sono differenze strutturali: in certi circuiti la pit lane è in controluce, in altri mancano gli spazi per le riprese laterali. Bisogna sempre studiare e pianificare per ottenere risultati all’altezza delle aspettative. E ogni anno le condizioni cambiano, non sempre in meglio per noi fotografi.

Studiare le alternative è importante in ogni campo della fotografia, ma su pista le limitazioni aumentano, così come le richieste editoriali. Come vivete tutto questo?

L’agenzia per cui lavoro è estremamente organizzata, e il fatto di avere diversi colleghi in pista ci permette di coprire tutto senza dover impazzire.

Il lavoro si divide in due: la parte per il team e quella per l’agenzia editoriale. Tra box e circuito ci sono tante attività, ma anche shooting fuori pista con i piloti. Questo fa parte del corollario del Gran Premio.

Avere un team di colleghi è cruciale, soprattutto in pista durante le prove e la gara. Per l’editoriale servono inquadrature specifiche: laterale, frontale, tre quarti e panning.

Ci disponiamo lungo il tracciato e ogni fotografo si piazza in un punto ottimale per produrre immagini anche per gli altri. Questa collaborazione ci consente un’ampia copertura senza dover correre da uno spot all’altro, evitando perdite di tempo e di scatti. Le vetture passano una volta per giro e non sempre succede qualcosa di eclatante: essere un team fa davvero la differenza. L’agenzia poi gestisce tutto al meglio.

Coprire ogni situazione significa soprattutto garantire la parte editoriale, ovvero ciò che viene inviato quasi in tempo reale alle agenzie stampa.

Esatto. Scattiamo in RAW e JPG per due esigenze: selezioniamo direttamente in macchina e inviamo i JPG agli editor, che li lavorano in tempi rapidissimi. I RAW li teniamo per usi successivi e per il cliente, che ha standard qualitativi più elevati. Il trasmettitore ci permette di inviare una serie di JPG in pochi secondi, per poi essere subito operativi per il resto.

In pista usi spesso ottiche diverse. Come ti organizzi?

Nei box uso ottiche fisse: talvolta 20mm o 24mm, ma principalmente 35mm, 50mm, 85mm e 105mm. Gli interni richiedono più attenzione perché i box variano in dimensione e la pit lane non è sempre ampia.

La scelta dipende quindi sia da cosa devo realizzare, sia dallo spazio disponibile. In pista preferisco il 400mm e il 70-200mm. Il 24-70mm lo uso nel parc fermé perché mi garantisce rapidità e flessibilità. È un lavoro da organizzare nei minimi dettagli: una volta iniziato, non c’è tempo per riflettere. Le immagini vanno portate a casa in ogni condizione di luce e situazione.

E poi c’è tutto il lavoro di editing, soprattutto per le immagini destinate ai team.

Sì, esatto. Le immagini editoriali le trasmettiamo quasi in tempo reale. Per il team, invece, entro la fine della giornata consegniamo i RAW sviluppati per ottenere la massima qualità.

In media, si tratta di circa 600 immagini definitive per weekend, selezionate da 1000-1500 utili. Lo scattato, ovviamente, è molto più ampio. Finito l’editoriale e lo shooting, inizia la parte principale: la consegna dello scattato.

Lo scorso anno avevamo iniziato a ottimizzare le tue fotocamere, senza una vera profilazione. Quest’anno sei passato alla versione personalizzata di TheSpack. Che vantaggi hai riscontrato?

Anche se quella dello scorso anno non era una soluzione ottimale, mi ha aiutato molto: la seconda parte della stagione l’ho chiusa con tempi più rapidi.

Quest’anno, lavorando con i profili personalizzati di TheSpack, il miglioramento è stato netto. Quello che due anni fa mi richiedeva 25-30 minuti, oggi lo faccio in 5 minuti con una qualità superiore.

Sembra incredibile, ma i profili colore hanno migliorato la resa già dall’apertura del file e mi permettono di lavorare rapidamente ottenendo subito il risultato desiderato.

Ora l’impegno maggiore è quello di neutralizzare al meglio il bianco in modo da avere immagini pulite, poi diventa tutto semplice. Avere sia profili normali che profili Untwisted che preservano lo scostamento della tinta mi permette di lavorare in rapidità e semplicità in ogni condizione. All’inizio mi sono dovuto abituare perché è un vero e proprio sistema di lavoro differente dal processo che usavo prima ma ora i vantaggi sono innegabili.

La vera differenza è che prima dovevo ottimizzare ogni scatto manualmente, mentre ora sincronizzo le immagini della stessa situazione e sono già pronte. Nessuna tinta falsata, nessun viraggio con il primo raggio di sole.

Non è solo questione di tempo o qualità: è la libertà di ritrovare nell’immagine finale ciò che ho visto in ripresa. Il risultato si ottiene con pochi passaggi, ed è fondamentale. I clienti lo notano.

Quindi non è vero che i clienti non capiscono nulla di qualità e immagini?

Assolutamente no. Parliamo di esigenze precise, dettate da brand che fanno della Color Identity un pilastro. Non si tratta di visibilità generica, ma di investimenti elevati che condizionano il nostro lavoro.

Spesso le persone non ci fanno caso, ma in pista ci sono molti cartelloni e ledwall: dobbiamo stare attenti ai loghi che inquadriamo perché non devono entrare in conflitto con gli sponsor del cliente. Altrimenti, le immagini diventano inutilizzabili.

Ciò che per molti è marginale, per i nostri clienti è centrale. Ottenere colori fedeli per livree e tute, coerenti con l’immagine aziendale, è un vincolo imprescindibile.

Con TheSpack ho risolto questo problema: scatto in ogni condizione e consegno immagini coerenti con le linee guida.

Questo si traduce in un risultato che soddisfa sia me, per tempi e qualità, sia il cliente, per coerenza con la Brand Identity. E risolve innumerevoli problemi.

Leica Q (Typ 116) - Comparazione profilo
Before
After

A volte un’immagine vale più di mille parole. A sinistra, una fotografia scattata in un ambiente con evidenti complessità di illuminazione, sviluppata con il profilo Adobe Color; a destra, la stessa immagine, ma con il profilo TheSpack. Per questo confronto sono stati utilizzati profili di seconda generazione, ottimizzati nel 2021, quindi ancora lontani dai progressi successivi. Questa immagine è particolarmente critica a causa di una sfumatura in saturazione, che, se non correttamente normalizzata, genera irregolarità. Spesso, il risultato ottenuto con il profilo Adobe porta a un giudizio negativo sulla qualità del file e della fotocamera stessa. Pur utilizzando una curva tonale simile per il contrasto, il profilo TheSpack ha prodotto un risultato nettamente superiore. Si nota una maggiore coerenza cromatica, estensione del dettaglio e leggibilità in tutte le aree dell’immagine. I disturbi e la granulosità, evidenti con Adobe, sono stati ridotti grazie alla struttura del profilo TheSpack, progettato per bilanciare correttamente i canali in uscita. Questo limite nei profili Adobe spesso causa un calo di qualità che viene erroneamente attribuito al mezzo tecnico. Il miglior dettaglio, la resa tonale superiore e l’assenza di irregolarità non sono il risultato di correzioni post-produzione, ma di un profilo colore studiato e sviluppato accuratamente.

Panasonic S1R - Impercettibili difetti
Before
After

Siamo spesso abituati a guardare l’insieme di un’immagine, perdendo di vista il dettaglio che la definisce. Questa riflessione, di per sé, potrebbe sembrare fuori luogo, considerando che la fotografia si basa sulla percezione visiva, sull’impatto che un soggetto, la luce, l’interpretazione e le dinamiche di una scena ci trasmettono. Sarebbe quindi naturale non concentrarsi sui dettagli. Eppure, qui nasce un grande paradosso: investiamo in lenti costose, glorificando la loro resa. Cerchiamo di correggere le aberrazioni, inseguire la risoluzione, applicare texture e maschere di contrasto per enfatizzare i dettagli, eppure ci dimentichiamo spesso di un elemento fondamentale: il profilo colore, che può distruggere tutto questo lavoro. Guardando ora il dettaglio ingrandito di una fotografia sviluppata con il profilo colore Adobe Color e la stessa immagine con TheSpack. La scelta di come intervenire su un profilo colore, quali parametri considerare e come ottimizzare la resa di un sensore porta inevitabilmente a conseguenze che impattano sulla qualità finale dell’immagine. Questo può addirittura vanificare il lavoro di ingegneri e progettisti che hanno creato ottiche di altissima qualità. Nell’immagine sviluppata con il profilo Adobe Color, la luce di un neon si disperde, lasciando un evidente alone attorno alla sorgente luminosa. Questo fenomeno riduce la consistenza nelle alte luci, compromettendo la texture e il dettaglio, e alterando la qualità complessiva della foto. Un piccolo difetto che, tuttavia, incide pesantemente sulla resa delle lenti e si manifesta su tutta l’immagine, indipendentemente dalle condizioni di illuminazione. Ovviamente, questa considerazione nasce dal fatto che un profilo colore può essere generato tenendo conto di differenti parametri, inclusi quelli che determinano lo scostamento di tonalità e saturazione al variare della luminosità. Per questo motivo, abbiamo scelto di suddividere il nostro sistema in modo da renderlo efficace in una vasta gamma di situazioni. Abbiamo implementato soluzioni specifiche per ogni singola fotocamera, così da ottenere risultati ineccepibili, indipendentemente dalle condizioni di ripresa. Questo approccio ci permette di garantire una resa cromatica coerente e precisa, riducendo al minimo le deviazioni che possono compromettere la qualità dell’immagine.

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